Il Montorfano Rovato deve ancora scendere in campo, con l’obiettivo di disputare un buon campionato. Le squadra, inserita nel Girone B di Promozione Lombardia, ha elementi giovani con quelli di esperienza, tra questi vi è Anna Castoldi, centrocampista classe ’95 e arrivata quest’anno a Rovato. La Redazione l’ha raggiunta ai nostri microfoni.
Anna cosa vuol dire essere una centrocampista?
«Mi piace essere un’ala e stare sulla fascia mi dà sicurezza, poi il centrocampo è bello, perché è un ruolo versatile e divertente».
Quando è iniziata la tua passione per il calcio?
«Volevo giocare a calcio sin da piccola, solo che mia mamma diceva che era uno sport da maschi, quindi, visto che nella provincia di Como non c’era nessuna squadra, avevo scelto di giocare a pallavolo. Poi, quando mi sono trasferita a Rodengo Saiano (provincia di Brescia, ndr), e c’era una squadra di calcio a sette. Mentre giocavo un torneo si parlava di calcio a undici e decisi di provare: quindi ho parlato con una mia compagna e ho contattato la Mario Bettinzoli, squadra presente a Brescia, e mi hanno inserito nella squadra, partecipando agli allenamenti e a qualche incontro».
Che differenze hai notato tra il calcio a sette con quello a undici?
«Ho notato una differenza grandissima, perché c’è tutta la dimensione del gioco e della tattica, fatta di costruzione, ma anche difficile da fare gol. Mi piace di più quello a undici rispetto a sette, mi dà più libertà».
L’anno scorso sei approdata al Lumezzane VGZ: cos’è stato per te giocare per quella maglia?
«Giocare con la maglia del Lumezzane vuol dire far parte di una società che ha un progetto serio, e vuole puntare sul calcio femminile, che quest’anno ha costruito una squadra importante in grado di puntare al salto di categoria, non solo all’Eccellenza ma anche a serie più importanti. A loro auguro tutto il meglio».
Quest’anno passi al Montorfano Rovato: perché questa scelta?
«Ho scelto Montorfano perché ho una grande simpatia hanno una concezione di calcio come scuola di vita, fatto di costruzione di identità e di valori in cui trovano la mia condivisione come lealtà, crescita, rispetto e correttezza. Mi trovo in un ambiente molto tranquillo. Ho visto un gruppo molto giovane ed empatico».
Il Covid-19 non vi ha fatto debuttare: dispiaciuta?
«Mi dispiace stare ferma, perché non è facile recuperare la forma, e poi allenarsi da sola non è piacevole».
Che opinione hai sul Girone B di Promozione?
«Il Lumezzane, con Mirella Capelloni, può vincere a mani basse il campionato e salire in Eccellenza, così come l’Accademia Bergamo, poi ci sono formazioni che possono fare bene Atletico Dor, che ha inglobato ex giovanili della Feralpisalò, Villa Valle e Riozzese».
La tua vita non è fatta solo di calcio, perché tu hai un’altra passione, quella del giornalismo.
«La passione per scrivere ce l’ho sin da piccola. L’ho iniziata quando ero in Germania, scrivendo per il Deutsch Italia, e grazie a quello sono andata a vedere tante mostre. Quando giocavo per la Bettinzoli, il responsabile di Cultura e Spettacoli del BresciaOggi mi ha chiamato chiedendomi per un articolo, io ho detto che stavo per allenarmi e lui era contento sapere che giocavo in una squadra femminile. Nell’anno del Mondiale mi sono proposta di fare un pezzo sulle giocatrici bresciane per il giornale e loro rimasti soddisfatti. Sempre in quell’anno il BresciaOggi mi ha chiesto se potevo occuparmi di calcio femminile, e io ho accettato, perché mi faceva piacere scrivere di una passione che mi riguardava da vicino».
Giocatrice e giornalista: come gestisci queste tue passioni?
«Quando giocavo stavo in panchina e scrivevo la partita, e alle sei di sera mi arrivano i tabellini. Quando poi c’era una partita importante del Brescia o del Cortefranca davo buca alla gara della mia squadra e seguirla».
Come lo stai vedendo il calcio femminile italiano?
«Il calcio italiano deve lavorate tanto, perché siamo indietro rispetto alle colleghe estere, però abbiamo giocatrici come Girelli, Cernoia e Giacinti. Mi auguro che tutte le persone che si sono avvicinate a questo movimento non si scoraggino per questo periodo, che arrivino nuove giocatrici, nuove società, con la speranza che si possa costruire un movimento solido nei prossimi anni: servirà costanza e passione, ma anche un cambiamento a livello culturale nel nostro Paese, perché quando vedremo finalmente sentire dire “quella ragazza gioca a calcio” e basta allora saremmo arrivati finalmente alla parità, ma per arrivare a quel giorno dovremo fare molta strada».
Quanto sarà fondamentale il professionismo per lo sport femminile?
«Sicuramente sarà importantissimo vedere una calciatrice giocare a calcio come un lavoro, a differenza di altre mie compagne che ho conosciuto e hanno dovuto fare delle scelte, perché essere una calciatrice professionista vuol dire avere uno stipendio che ti permetta di vivere, avere contributi, ferie, pensioni, maternità, quelle tutele che rendano il calcio una professione. Adesso che ci sono società come Juve, Inter e Milan possono far allenare le ragazze in un certo modo, di giorno e non di sera, però le squadre di Serie A e Serie B partano dalla stessa linea di partenza: basi pensare che il Brescia quest’anno ha ragazze che lavorano e, dopo ore di lavoro, tornano a casa, si allenano e poi partecipano alla partita di domenica. Quindi credo che il professionismo sia importante per permettere a tutte le ragazze di essere sullo stesso livello, e di non dover sostenere il peso psicofisico di un alto impegno lavorativo».
Che persona sei fuori dal campo?
«Mi reputo una persona normalissima, e nel futuro mi piacerebbe diventare un’insegnante di lettere e continuare ancora a scrivere di calcio».
La Redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia il Montorfano Rovato e Anna Castoldi per la disponibilità.
Photo Credit: Anna Castoldi