“Caro Minuto Settantotto,
Mi presento, mi chiamo Lorenzo Giudici e sono un dirigente della Florentia SanGimignano, squadra attualmente all’ottavo posto del campionato di #SerieAFemminile. Il tema di questa lettera è riflettere su come i media che raccontano il calcio femminile non siano spesso d’aiuto per raggiungere l’obiettivo principale del movimento: la liberazione dello sport dal sessismo. […]
La battaglia per il professionismo femminile infatti passa dalla qualità della narrazione. […] Narrazione nella quale sono sistematicamente assenti alcuni ingredienti che sono fondamentali per coinvolgere il pubblico: una puntuale e accattivante narrazione del campionato; degli approfondimenti sulle singole squadre; un sistematico spazio dedicato alla voce delle atlete. Ma la cosa che manca più clamorosamente sono le analisi tattico-tecniche. Non ci sono praticamente mai approfondimenti su come le allenatrici e gli allenatori preparano una certa partita, sulle soluzioni trovate in campo per risolvere alcune situazioni, sui gesti tecnici e le scelte che cambiano i match, sulle prestazioni atletiche sempre più di alto livello.
[…] Siamo in presenza di atlete che pur ai massimi livelli nazionali per decenni si sono allenate la sera, dopo il lavoro, in tempi e luoghi che avanzavano dalle attività maschili. Atlete che sono arrivate a quei livelli nonostante la sistematica operazione di “addomesticamento” che fin dalla prima infanzia il corpo femminile subisce quando si tratta di movimento libero e sfrenato e di consapevolezza della propria forza.
Sono arrivate a questi livelli proprio perché sono atlete e immagino quindi che abbiano l’aspirazione non solo di vivere come atlete, ma anche di essere raccontate come atlete. […]
Siccome il punto della questione in Italia (come altrove) è ancora purtroppo la possibilità per una donna di “vivere di sport”, credo che la capacità di narrare con qualità le gesta sportive di una atleta sia un ingrediente essenziale della battaglia.
Cioè, se non riusciamo a raccontare le donne come atlete, è come se non si riuscisse ad ammettere che le loro gesta siano degne di attenzione. Cioè, è come non assegnare piena dignità allo sport femminile.
[…]
Voglio concludere affrontando un tema caro alla comunità di Minuto Settantotto: la rivoluzione del linguaggio sportivo che possiamo riassumere con “bomberismo” e “ignoranza”. Ho trovato la vostra analisi ineccepibile: uno dei principali problemi di questa “retorica” è come mette a tema il ruolo della donna, nello sport e nella società intera.
Io trovo che ci siano delle profonde affinità tra il “bomberismo” e una delle scelte maggiormente in voga nei media nel trattare il calcio femminile. Si prediligono “le fiche”, si scelgono le foto dove “le fiche” giocano rivelando sensualità, malizia, corpi sessualmente esplosivi, che sono naturalmente cose belle, ma che non sono in prima istanza ciò che un’atleta vuole e deve esprimere su un campo da calcio, mentre svolge il suo lavoro.
Questo modo di raccontare lo sport lo rende molto simile alla diet-culture: un insieme di stereotipi che sottopongono i corpi ad auto-imposizioni, che rischiano di far sentire costantemente inadeguate/i, che trasformano atlete e atleti in ennesimi imprenditori di se stessi, affascinanti, attivi, sorridenti anche quando giochiamo a calcio.
Vi ho allegato due foto. Sono belle foto entrambe. Nella prima, due forti giocatrici del West Ham si abbracciano dopo un gol. Nella seconda, due forti giocatrici di Fiorentina e Florentia San Gimignano si affrontano in un duello aereo. Naturalmente, entrambe queste foto non hanno alcun problema. Rappresentano due aspetti della realtà. I problemi arrivano quando notiamo che si tende sempre di più a scegliere una foto come la prima come principale via per richiamare interesse sul calcio femminile. Quello che stona non è la foto, ma è il commento: “Non ti conosco, non so chi sei, ma so che [sei un bomber e quindi] farai lo zoom [sul culo di quella]”.
La seconda foto non viene scelta quasi mai. Eppure si vedono forme magari altrettanto belle. Come mai? A mio parere perché mostra che queste gambe, culi, spalle, braccia, seni, servono per saltare più in alto dell’avversaria e andare a schiacciare un pallone di testa. E’ una foto cioè dove il corpo impegnato nell’attività sportiva non è immediatamente funzionale al desiderio sessuale di chicchessia, ma è un corpo “funzionale” ai propri desideri, alla propria espressione di sé attraverso il movimento. Il corpo di un’atleta impegnata nella sua disciplina.
Dunque, caro Minutosettantotto, vi scrivo perché credo che a questa nostra (mi ci metto dentro) “comunità di lotta” possa interessare soprattutto una cosa di tutta questa faccenda.
Prima di produrre In Utero, Steve Albini scrisse queste parole ai Nirvana: “Mi piace lasciare spazio agli incidenti e al caos. Fare un album impeccabile, in cui ogni nota e sillaba sono al posto giusto e ogni colpo di cassa è identico al precedente, non è un’impresa. Qualsiasi idiota con abbastanza pazienza e un budget che gli permetta di fare una tale idiozia può farcela. Io preferisco lavorare a dischi che aspirano a cose più grandi, come l’originalità, la personalità e l’entusiasmo”.
Attorno alla narrazione del calcio femminile mi sembra che si giochi una questione più universale che riguarda i corpi di tutti e tutte noi: valorizzare il nostro corpo come il luogo di una relazione decisiva con la propria personalità, con la propria originalità e il proprio entusiasmo. E con quella degli altri e delle altre. In questo momento, forse, battagliare per lo sviluppo del calcio femminile ha un significato liberatorio”.
La versione integrale della lettera di Lorenzo la trovate a questo link:
https://www.minutosettantotto.it/se-le-donne-sono-atlete-iniziamo-a-raccontarle-come-atlete/
Credit Photo: Elia Caprini